Pignoramento dello stipendio e minimo vitale

Trovarsi nella situazione di essere dei debitori è sempre una situazione alquanto spiacevole. In questi casi, infatti, il creditore potrebbe decidere di agire in via esecutiva dando vita all’espropriazione nei confronti dei propri beni per saldare attivamente il debito.

L’articolo 491 del codice di procedura civile dispone che il pignoramento è l’atto col quale si dà inizio all’espropriazione forzata e che può colpire anche gli stipendi.
Il pignoramento può colpire beni materiali ma anche lo stipendio. In alcuni casi tuttavia la legge parla chiaro e non permette che il pignoramento storni del tutto le somme dovute ad un soggetto a favore del creditore. Deve essere lasciato, insomma, il c.d. minimo vitale che è una somma minima che il creditore non può aggredire, e che è funzionale al sostentamento dei bisogni fondamentali del debitore e dei familiari.

Ma questo vale anche per lo stipendio? Purtroppo no. La legge spiega chiaramente che il minimo vitale è un concetto che sussiste solamente con riguardo alla pensione del debitore e non allo stipendio. Questo significa che quando viene pignorato lo stipendio del debitore, esso può essere pignorato in toto, senza dover lasciare neppure una minima parte come minimo vitale inderogabile.

Lo stipendio può essere pignorato per un massimo di un quinto. Questo significa che se lo stipendio è di mille euro, ogni mese si possono pignorare solo 200 euro e non di più: questo è il massimo del pignoramento consentito al creditore.
Ma le cose cambiano se il pignoramento dello stipendio avviene per diverse cause, cioè per concorso di diversi debiti. In questo caso il pignoramento può arrivare al massimo alla metà dello stipendio.

Se si tratta di crediti alimentari, allora il codice di procedura civile dispone che le somme dovute a titolo di salario o stipendio o di indennità possono essere pignorate nella misura che verrà stabilita di volta in volta dal presidente del tribunale o dal giudice dell’esecuzione.

Lo stipendio già accreditato e non: limiti al pignoramento

L’articolo 545 del codice di procedura civile dispone che se le somme dovute al lavoratore a titolo di salario o stipendio (o indennità relative al rapporto di lavoro, anche dopo un licenziamento, o a quelle dovute a titolo di pensione o in luogo dell’assegno di pensione) sono già state accreditate su un conto bancario prima che avvenga il pignoramento, allora il pignoramento incontra dei limiti: non può superare il massimo dell’importo del triplo dell’assegno sociale (che varia di anno in anno, e che per il 2018 è di euro 453 da moltiplicare per tre volte).

Come abbiamo già precedentemente detto, se invece lo stipendio o il salario non erano già stati accreditati prima del pignoramento, allora bisogna rispettare il limite di un quinto dello stipendio. Il pignoramento che superi il limite predetto è parzialmente inefficace per la parte che supera il limite disposto dalla legge, e perfino l giudice può rilevare l’inefficacia, d’ufficio.

Il discorso, invece, cambia per le pensioni. Infatti non si può pignorare completamente una pensione, ma è necessario pensare ad un pignoramento che lasci intatto il minimo vitale. Il riferimento al minimo vitale vale solo per le pensioni, per gli stipendi valgono i limiti sopra enunciati.

Pignoramento stipendio da Equitalia

I limiti in questione cambiano se il creditore del lavoratore non è un privato o una banca ma Equitalia o altri agenti di riscossione.
In questi casi le somme dovute come stipendi o salari o altre indennità relative al lavoro possono essere pignorate in misura di un decimo, per importi fino a 2.500 euro, in misura di un settimo, per importi superiori a 2.500 euro ma non a 5mila euro, e nei limiti previsti dal codice di procedura civile per importi sopra i 5mila euro.